Comune Unico. Emergenza delle piccole comunità

Articolo segnalato su ForumPA

 

L'Italia è il paese delle piccole frazioni, dei borghi che si alternano intervallati da vallate profonde, da montagne impervie o da bracci di mare. Questa complessa orografia ha favorito il proliferare delle identità comunali, il radicamento profondo della gente alla propria minuscola terra. A niente è servita la diluizione nella globalità della rete, nelle masse etniche in movimento, in una veicolarità sempre più spinta e capillare: all'inizio del terzo millennio la salvaguardia del "proprio" appare ancora la bussola più "autorevole" nella condotta del governo di noi stessi.

La nostra montagna, così come tante altre comunità sparse su tutto il territorio nazionale, è attualmente investita dal dibattito sul Comune Unico. La Regione Toscana sta da tempo valutando l'opportunità di un referendum che chiami i cittadini ad esprimersi sulla fusione dei comuni di Abetone, Cutigliano, Pitegliio e San Marcello. Dunque una riflessione a tutto campo sul tema si fa quanto mai necessaria.

Nel disegno del legislatore, l'accorpamento riguarda tutte quelle comunità, a loro modo periferiche, la cui popolazione si colloca al di sotto dei 5/10.000 abitanti. Con le dovute eccezioni, si tratta spesso di comuni di montagna, di consistenza demografica molto al di sotto della soglia identificata, caratterizzati da risorse scarse, popolazioni anziane e debolezza del tessuto economico e produttivo. Operare in questi comuni ti disegna attorno una sorta di isolamento che si concretizza nella difficoltà di auto-rappresentarsi ai livelli più alti, di costruire un progetto di sviluppo organico che si dica capace di camminare sulle proprie gambe. Chi non abbia vissuto la frustrazione dell'amministrare in "regime di solitudine" non immagina, probabilmente, quanto sia divenuto urgente il bisogno di un livello politico-organizzativo che guardi oltre i confini del proprio "regno". Gli utlimi anni sono stati caratterizzati dalla progressiva contrazione delle risorse pubbliche a disposizione delle amministrazioni comunali: i trasferimenti dello stato si sono ridotti di anno in anno, il gettito proveniente dai tributi locali si è anch'esso contratto in misura proporzionale al grado di de-industrializzazione dei territori. A tutto questo si aggiunga che gli "ambienti" di cui si parla sono attualmente immersi in una crisi di tipo planetario,  molto più ampia e complessa di quanto non fosse dato di immaginare ai suoi esordi.

Sono anni che il sistema normativo spinge con forza nella direzione dell'accorpamento dei piccoli comuni. Sia chiaro: la fusione non rappresenta la "panacea di tutti i mali". I comuni, grandi o piccoli che siano, sono semplicemente strumenti e gli strumenti producono effetti in relazione a come li si usa. Fatto sta che ci sono vantaggi oggettivi nel processo di accorpamento. Vediamo di riassumerli brevemente e per punti.

1. Incremento del peso politico. Si è detto sopra abbondantemente delle caratteristiche territoriali e demografiche dei comuni interessati alla fusione. Si tratta in prevalenza dei cosiddetti "comuni polvere", spesso connotati da territori ampi e complessi così come da concentrazioni demografiche modeste. Uno dei più gravi handicap che queste piccole comunità si trovano a dover scontare, è dato dalla loro scarsa capacità di autoaffermazione nell'ampiezza del panorama politico istituzionale. Non è il "cinismo della politica" a determinare il peso specifico della rappresentanza, bensì le più elementari regole della convivenza democratica che sanciscono il principio della proporzionalità fra consistenza numerica e capacità di autorappresentazione. Il processo di fusione determina, per sua natura, un incremento della massa demografica rappresentata ed il conseguente aumento del peso politico della comunità che si esprime.

2. Gestione sistemica. Un altro nodo che agisce in negativo nella frammentazione, è l'incapacita di operare secondo politiche ampie, ampiamente condivise e che siano l'espressione di territori vasti, spesso omogenei nella loro conformazione geografica, nella natura culturale così come nelle vocazioni allo sviluppo. L'aggregazione delle diversità, spesso solo presunte o teorizzate, che viene operata attraverso la fusione, pone le basi per sviluppare politiche e sistemi di gestione più orientati ad governo omogeneo dei territori, con quanto ne consegue in termini di incremento dell'efficacia decisionale e di confluenza delle risorse su progetti di ampio respiro.