Sulla fusione Piteglio - San Marcello. Riflessioni a caldo

A qualche ora dal referendum per la fusione dei Comuni di Piteglio e San Marcello qualche riflessione ponderata mi parrebbe opportuna.
 
Inutile dire che siamo soddisfatti. Nella vita si può anche sbagliare e nessuno di noi ha la presunzione di avere la verità in tasca. Però vivere quotidianamente le dinamiche di un piccolo comune ti fa interrogare spesso sulla sostenibilità, in prospettiva, di un mondo dove i bisogni dei cittadini crescono e la capacità di risposta dei comuni diminuisce ogni anno di più.
 
Il riassetto delle istituzioni che si compirà nei prossimi mesi si tradurrà, innegabilmente, in un processo di progressivo indebolimento dei piccoli comuni e dei territori estremi. Ed è del tutto evidente che per rispondere alla riorganizzazione del sistema bisogna rispondere con la riorganizzazione di noi stessi. Subire i cambiamenti senza provare a governarli ci esporrebbe al rischio di ulteriori debolezze.
 
Le risorse ingenti che arriveranno nei prossimi anni costituiranno una occasione d'oro per progetti di investimento che contengano la "presunzione" (mi si passi il termine) di un processo di rilancio complessivo dei territori montani.
 
Certo, le dimensioni dei nostri comuni si faranno più grandi e la complessità di gestione aumenterà. Dovremo preservare i punti di accesso ai servizi e magari immaginare anche una loro più spinta diramazione in direzione dei cittadini. I margini di riorganizzazioni che si aprono consentono di sviluppare un ragionamento anche in questa direzione.
 
Non ci sfugge il fatto, che in termini di partecipazione al referendum la partecipazione non sia stata all'altezza di una scelta epocale che riguarda direttamente la vita dei cittadini: San Marcello 29% - Piteglio 41%. Una parte dei cittadini è innegabilente disamorata, estenuata da una crisi che ancora morde così come da una politica che non sempre riesce a fornire le risposte che ci si attendono. Il gap va recuperato, non con gli slogan, non con la logica del tutti contro tutti, non con l'idea che le cose buone diventano cattive perché le fanno gli altri, ma mettendo in campo una sana capacità progettuale che si sposi ad una forte capacità di dialogo.
 
Il nuovo Comune che va costituendosi è una occasione anche per questo. Al di là delle idee e dei progetti, i nuovi amministratori avranno l'obbligo di delineare anche nuovi strumenti di rappresentanza. I territori periferici andranno aumentando e la loro rappresentazione diventerà necessaria.
 
Questo non solo per motivi di buon senso ma anche nella logica di adottare, nei prossimi anni, politiche volte al ripopolamento delle aree cosiddette marginali. E' un obbligo che abbiamo, nel rispetto del pianeta e delle prossime generazioni, e che dovrebbe permeare di sé la politica e le istituzioni a tutti i livelli.